Il desiderio del bene, di Donatella Brusati
I libri, come le persone, arrivano nella tua vita quando ne hai più bisogno, quando devono insegnarti qualcosa: questo è un fatto. E “Il desiderio del bene” arriva nella mia vita proprio nel momento in cui mi sto interrogando, guidata dalla saggia voce di Seneca, sulla brevità della vita, sul concetto di felicità e sulla figura del mentore. In questo accidentato cammino fatto di domande, l’elegante penna di Donatella Brusati mi viene in soccorso e mi sorregge, presentandomi due personaggi intriganti come Marcello e Francesco. Personaggi che non dimenticherò tanto presto.
Non a caso ho parlato di penna elegante: la prosa di Donatella è fluida e ricca al tempo stesso, calibrata e autentica. Ogni parola è scelta con cura, le sequenze riflessive riescono a immergere il lettore nell’animo dei protagonisti così come le sequenze descrittive evocano con precisione luoghi, profumi e odori. In un momento storico in cui dal mondo editoriale arriva la richiesta (più lo meno implicita) di semplificare, l’autrice non cede ma al contrario rivendica il talento della buona scrittura e il conseguente privilegio di avvalersene. E per questa buona scrittura le faccio i miei complimenti.
Per quanto riguarda la trama, la scelta di Donatella Brusati è tutt’altro che scontata: lo sfondo della Seconda Guerra Mondiale potrebbe indurre il lettore a immaginare una certa deriva, così come il rapporto tra Francesco e Marcello potrebbe suggerirne un altro. E invece, anche sotto questo punto di vista, Donatella non imbocca il sentiero più battuto. Non c’è inganno, da parte dell’autrice, né rottura della sospensione d’incredulità. Al contrario, quello che accade (o forse sarebbe più corretto dire non accade) è la naturale conseguenza del carattere, delle attitudini e della fede – politica o religiosa – dei protagonisti. Siamo di fronte a un magistrale esempio di conoscenza e utilizzo di tecnica narrativa, dove sono i personaggi a guidare la trama, non il contrario. Anche per questo le faccio i miei complimenti.
Tuttavia, al di là degli aspetti tecnici, come ho anticipato in apertura sono i protagonisti, Francesco e Marcello, ad aver lasciato un segno profondo nel mio animo di lettrice.
Francesco, il mentore, l’uomo che della bellezza subisce le conseguenze più negative e che viene consacrato a un Dio buono. Perché chi è stato baciato dalla fortuna può credere soltanto in un Dio simile.
Marcello, l’allievo, l’uomo a cui sono stati strappati uno dopo l’altro gli affetti più cari e che viene consacrato a un Dio punitivo. Perché chi ha conosciuto solo miseria e sventura può credere soltanto a questa versione di Dio.
E cosa accade quando due uomini simili si incontrano? Quando ogni tipo di fede viene messa a dura prova dalla guerra, dalla crudeltà dell’uomo verso l’uomo e perfino dall’amore? Può un mentore essere sia padre sia amico, può una dilectissima puella essere passione e al tempo stesso sorella, può in definitiva ciò che non abbiamo mai posseduto appagarci davvero? Al termine della lettura, grazie all’esempio e alle decisioni prese da Francesco e Marcello, ho trovato la risposta a molti di questi interrogativi. E di questo ringrazio l’autrice.
Immergendoci nella storia che Donatella ci racconta vivremo molti degli avvenimenti storici della nostra Italia: la posizione della Chiesa riguardo l’Olocausto, l’aiuto sommerso e quello negato, i compromessi politici e personali. Incontreremo la Resistenza, i salotti della Roma bene, la povertà delle campagne, la mutazione del ruolo sociale della donna, tanta buona cucina e buon vino. Rifletteremo sul ruolo di Dio nella nostra vita, sulle scelte subite e sulle decisioni non prese, sul tempo che passa che da una parte ci indebolisce e dall’altra ci rende più forti. Troveremo la felicità delle piccole cose, la capacità di stringere qualcuno al petto e dire tutto quello che proviamo, oppure di evitare quella stretta e di tacere perché è giusto così. Navigheremo a vista tra riflessioni profonde, verità scomode, interrogativi dolorosi, incontrando alla deriva parti di noi stessi. Anche quelle che fa male vedere.
Non leggeremo nulla di prevedibile, tantomeno il finale. E ci ritroveremo insieme a Marcello e Francesco alla stazione Termini, aspettando un treno in arrivo da Torino e in ritardo da tutta la vita.
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